Valentina l’ho conosciuta una mattina di luglio del 2013 quando a Terrasini partecipammo ad un recital di fronte al mare di Cala Rossa. Fu simpatia immediata tra due persone simili: entrambe siamo dirette nel modo di esprimerci, non abbiamo molti filtri quando ci rapportiamo agli altri, siamo spontanee nell’esternare i sentimenti e imbranate nei movimenti.
Si, io e Valentina ci siamo riconosciute simili già dal primo incontro e da quel giorno non ci siamo mai perse di vista. Siamo state parte attiva di recital e incontri culturali, amiamo la prosa e la poesia e le tante sfaccettature dell’arte. Amiamo il silenzio e il metterci in gioco. Ed è il gioco nel senso più stretto del termine che richiama il titolo del romanzo di Valentina: il gioco del nascondino, appunto.
Ma non dal titolo del libro vorrei iniziare, quanto invece dalla copertina osservando la quale salta agli occhi la firma: Valentina Cucuzzella. E non Valentina Grazia Harè come siamo abituati a leggere quando firma le sue poesie. Come se in lei ci fossero due persone: la Harè sognante che scrive in versi, e la Cucuzzella razionale che scrive in prosa.
Ma è davvero così?
Per avere un quadro più completo della nostra autrice, prima di aprire le pagine di “A nascondine col dolore”, voglio leggervi quanto scrissi circa due anni fa su Valentina poetessa perché, a mio avviso, ella trasporta nella prosa molto del suo essere poetessa.
Nel 2014 scrivevo: “La poesia di Valentina Grazia Harè concede di entrare in un mondo particolare, all’apparenza semplice ma, in verità, molto complesso. Leggendo le sue liriche si ha l’impressione di essere catapultati in una dimensione dove non esistono regole, e niente è assoluto.
La poesia di Valentina Harè è piena di colori. Lei vive per la poesia e si rifugia nei suoi versi, tra i quali affiora una sensazione di perdita che alimenta la nostalgia. Il suo scrivere, infatti, ruota attorno ad una sottile malinconia che non l’abbandona mai.
Leggere le sue poesie è come affrontare un volo pindarico e lei, dall’alto del suo volo, vuole essere trovata, vista e ascoltata.
Valentina Grazia Harè si nasconde e si rannicchia dentro una conchiglia, dove si riposa dopo i suoi voli pindarici e, dietro i suoi versi, c’è l’aspettativa di una luce che sovviene a illuminarle la vita”.
Penso che ognuno di noi abbia dentro di sé dei colori; lo scrittore, il poeta, attinge ai colori che ha dentro per comunicare i suoi pensieri e trasmettere al lettore i colori-come-emozioni.
Non sempre chi scrive in versi ha anche la capacità e la pazienza di scrivere in prosa. Narrare è ben diverso del poetare. Un romanziere ha il compito di farsi capire, di ammaliare e catturare il lettore, lasciando, in chi legge, una traccia, una scheggia di luce.
La luce è fondamentale nell’arte: pittori e fotografi si avvalgono della luce per far emergere dell’ombra l’oggetto nascosto che vogliono sia rivelato. Anche per la scrittura è così: le parole rivelano il pensiero ma sono i colori che, attraverso la luce, ne evidenziano le emozioni: rabbia, amore, dolore, malinconia, allegria, orgoglio, dolcezza, tristezza eccetera.
A Nascondino col dolore racchiude tanti colori che derivano da un unico raggio di luce: l’amore. Carolina, la protagonista, convive con l’amore negato della madre, l’amore dolce del fratello, l’amore complice della nonna, l’amore tenero del cagnolino, l’amore superficiale del padre, l’amore materno della zia. Ma, la storia che leggerete, è impregnata anche di un amore imposto con violenza e prepotenza, un amore rubatole che si andrà a sommare a quello mancato.
“A nascondino col dolore” è un romanzo corposo e ben strutturato: la linearità dei primi capitoli, si fa più movimentata con l’arrivo a sorpresa del cagnolino Spaesato che ha il pregio di unirla al fratello. Gianni conosce le fragilità della sorella e, nonostante siano molto diversi l’uno dall’altra, cerca di proteggerla, ma non sempre purtroppo ci riesce.
Carolina vive col dolore procuratole dalla madre, una donna arida che non sa dare amore. Ne è un esempio pagina 47 all’inizio del capitolo XII (leggere)
La madre fa emergere in Carolina il suo lato più oscuro perché, con le frasi acide e piene di rimprovero che le rivolge, la piccola vede nel suo futuro la tragedia, che poi inevitabilmente arriva.
Il gioco del nascondino, vissuto da Carolina come parte integrante della sua vita di bambina, si contrappone alla regola della vita che le impone la madre pag 36 La regola della vita è uniformarsi (Leggere)….
Ma Carolina, a differenza del fratello Gianni, non si uniforma perché troppo legata alla sua unicità. Pag 36
Carolina fa finta di stare bene, si rifugia nel suo mondo di fantasia, scrive canzoncine e si nutre delle favole della signora Cigliamulticolori che l’aiutano a colorare le sue notti e vincere l’abbraccio nero della sera.
E la sera la bambina si rifugia tra le braccia della nonna che per lei rappresenta la sua più bella poesia: morbida e avvolgente e piena di calore, la piccola sa che le braccia della nonna sono l’unico luogo in cui può permettersi di scacciare le ombre che l’attanagliano.
Ed è tra le braccia della nonna che la bambina sente riempire il vuoto di cui ha dimestichezza come leggiamo a pagina 28 (Leggere)
E la nonna resta l’unico appiglio anche nel futuro di Carolina studentessa, assuefatta al dolore e alla malinconia, al rimpianto e all’accettazione. Ma un giorno, per caso, avviene l’incontro perfetto tra lei e una delle sue ex compagna di scuola e, da quel momento, ogni cosa si adagia nel posto giusto. Ogni cosa assume la giusta forma…
Valentina Cucuzzella ha ordito una trama di alto spessore umano. Vi accorgerete leggendo il suo libro del suo essere una scrittrice romantica: lei mentre scrive risiede sopra le nuvole, e da lì sbircia la Terra e i suoi abitanti, raccoglie sensazioni e fatti, e poi se li porta di nuovo sulle nuvole, e, ispirata, scrive nel suo modo singolare, un po’ articolato, un po’ sopra le righe, ma mai scontato.
II suo scrivere è impregnato di romanticità: la storia che racconta è piena di sentimenti e di pathos. Le parole che utilizza per raccontare il dolore e l’oscurità sono lievi, gentili quasi, non invadono il lettore di quell’orrore che invece dovrebbero suscitare.
Io non so quanto di autobiografico ci sia in “A nascondino col dolore”, ma salta agli occhi quanta similitudine ci sia tra la protagonista del romanzo e l’autrice stessa. La scrittura le unisce e le definisce. E cosi si ha l’impressione che lo scrivere sia un’ancora di salvezza; un modo per superare gli ostacoli della vita. Sicuramente scrivere è per le nostre due ragazze (Valentina-autrice e Carolina-protagonista) un procedimento per darsi risposte a domande forse inespresse ma che le abitano dentro, nell’intimo, facendo loro compagnia.
Il mio invito è quello di leggere il romanzo di Valentina Cucuzzella non soltanto con gli occhi ma anche con il cuore, perché è al nostro cuore che la romantica autrice mira. Il suo raccontare il dolore ci trasporta nel suo mondo nel quale ci ritroviamo a giocare con lei a nascondino.
Giovanna Fileccia
Terrasini, 22 gennaio 2016