Dopo la prima raccolta di poesie, “Sillabe nel vento”, Giovanna Fileccia ce ne offre un’altra, dal titolo, per la verità, piuttosto enigmatico e sibillino, “La giostra dorata del ragno che tesse”. Di fronte a questo titolo, così complesso, e in cui c’è evidentemente tutto un simbolismo, ci viene spontaneo chiederci: “Ma che cosa vuole intendere l’autrice con queste parole?” Andiamo allora a scoprire il senso metaforico del titolo nel quale è sempre racchiuso il significato dell’opera.
Innanzi tutto prendiamo l’avvio da una poesia che è come la chiave per entrare in questo mistero, ed è “Guscio di lumaca”, che troviamo quasi all’inizio, e in cui la poetessa pone questo dilemma: “E’ meglio morire per vivere meglio?”, ma noi non potremmo comprendere il senso di questo interrogativo se non rivolgiamo l’attenzione ad un episodio della vita dell’autrice, cui ella si riferisce nella poesia “Artiglio sulla schiena”, in cui dice: “Uccello rapace/dai malefici artigli/.. L’Aquila/.. Poggiata sulla schiena, attende/ che io diventi/ evanescente”. Allude qui al disagio provato nell’impatto col nuovo ambiente quando, essendo lei ragazzina, la sua famiglia si trasferì da Palermo a Cinisi, per motivi di lavoro del padre, ed ella ne soffrì tanto che ne risentì perfino la sua salute. In seguito addirittura i medici le sconsigliavano il matrimonio. E qui subentra il dilemma: “E’ meglio morire per vivere meglio?”, cioè rassegnarsi ad una vita grigia, ma tranquilla, o non piuttosto affrontare il rischio in vista della felicità? Giovanna coraggiosamente sceglie per il matrimonio. Si sposa e diviene pure madre. Nella poesia “Il guscio di lumaca” immagina però di avere preso la decisione contraria: “Scambiai di posto con colei/ che uscendo sussurrava:/ “per vivere meglio è meglio morire”. E così/ mi ritrovai bloccata/ in una vita non mia/ mentre la lumaca,/ col filo di bava,/ usciva dal tranquillo viale/ dell’andare sicuro,/ avviandosi libera/ per la sua strada./ Ed io /scaraventata nel guscio/ vissi al suo misero posto./ E ancora dimoro in porto sicuro/ dove il coraggio è nato già morto”. Certo neanche la natura vuole questo: “La Madre Terra,/ piangente sorella,/ urla dolore per la sua prole./ Mi domanda con nenia struggente:/ “E’ meglio morire per vivere meglio?”
La vita allora può essere rischiosa, presentare incognite, svolgersi labile e precaria, come “Sul pericolante ponte in bilico tra corde oscillanti”.
E qui cade a proposito il ragno, questo esserino che, sospeso nel vuoto, oscilla sempre, pare che debba cadere da un momento all’altro, fragile e tremolante, ma che con tenacia, pazienza e laboriosità, tesse una tela, fatta di fili sottili, che formano dei pieni e dei vuoti, anch’essa labile e caduca.
Fuor di metafora, il ragno che tesse la ragnatela simboleggia l’uomo che costruisce la sua esistenza, con tenacia pazienza e laboriosità, una esistenza però non piatta, ma costituita da pieni e da vuoti, da gioie e dolori, lacrime e sorrisi. Da gioia e trepidazione.
Ora quale cosa meglio della giostra può esprimere trepidazione e gioia? La giostra ne è proprio l’emblema, è l’emblema della vita. E qui sta per il “Tutto che attornia”, la vita dove confluiscono le esistenze di tutti gli uomini. Vita fatta di tempo:giri e giri, generazioni e generazioni di bambini, che si susseguono; fatta di spazio: il Tutto che attornia non è solo costituito dall’elemento umano, ma anche dalla natura in cui si è immersi. E la vita è sempre un “Muoversi/ tra tempo e/spazio/ oscillando in bilico”.
Questi corsi e ricorsi di generazioni seguono, secondo l’autrice, un movimento a spirale, non si ritorna mai al punto di partenza ma ci si allarga sempre in un continuo progresso, in continua evoluzione: “Il tempo scorre e/ continuo a vedere/ bambini/ in scena nascosti in/ conchiglie/ dai gusci/ a spirale”.
Ma anche dinanzi alla giostra i bambini si trovano di fronte ad una alternativa: salire o non salire? Coraggio o paura?: “..aspettando/ che la giostra del divenire/ si fermi e loro possano/ finalmente decidere se… vivere o d’inezia morire”. Ma Giovanna esorta: “Salite sulla giostra del divenire/ dove l’andare è più importante del dire”, il vivere è più importante del discorrere.
Ora però attenzione: questa giostra non è una giostra qualunque, è una giostra dorata. E se in una giostra tutti salgono, buoni e cattivi, chi onora, chi perdona, chi vuole andare all’indietro (pensare al passato), però sulla giostra dorata sale solo un determinato tipo di persone. E se la giostra indica gioia, la giostra dorata indica più che gioia, indica felicità! Non la gioia superficiale o effimera e fallace della scelta del male (in una mente perversa anche la soddisfazione della vendetta può essere una gioia), ma la gioia proveniente dalla scelta del bene, dalla scelta dell’amore, scelta che è felicità. Per questo la giostra è dorata.
Allora il tutto che attornia è un regno d’amore, in tutte le sue sfaccettature: rispetto, considerazione, sollecitudine, solidarietà, e così via. E amore non solo tra gli esseri umani, ma tra tutti, e anche verso la natura. Nella poesia “Solitudine” leggiamo: “Siamo soli e non lo siamo./ Il Tutto che attornia/ risana ferite/ attraverso la bellezza/… Il Creatore invita: “Guardati intorno uomo, non sei solo./Abbi cura della natura ed/ essa ti ricambierà con amore” e continua: “Se aneli un abbraccio/ alza gli occhi e/ guarda oltre te stesso:/ scoprirai l’Amore del mondo”.
Nel Tutto che attornia c’è inoltre un fulcro, che ha anch’esso un significato metaforico: tra tutti gli esseri umani che ci circondano ce ne sono alcuni che costituiscono il nostro punto di riferimento, come la famiglia. Giovanna così scrive: “A mio marito Alessandro e ai miei figli, punti cardini che mi completano; loro rappresentano il fulcro attorno al quale gira la mia giostra”; “Perno/ attorno al quale/ la giostra../ veloce va bramando l’asse dell’equilibrio”.
Così quel mondo, che prima ella non riusciva a signoreggiare (“mondo mondo seguiti a sfuggirmi/ mentre cerco di afferrarti), quel mondo verso cui non riusciva a sentirsi in armonia, ora invece lo guarda con occhi di amore, e se ne sente pure ricambiata. E in questo certamente un ruolo fondamentale ha avuto il marito, il fulcro della sua vita: “è/ attraverso altri occhi/ che vedo il mondo adesso/… Il mondo mio/ attraverso/ gli occhi tuoi/ adesso/ è”. E ancora così gli si rivolge: “Ti riconosco./ La tua voce vibra con la mia./ Anticipi i miei pensieri…/ Concludi i miei pensieri che/ aleggiando nell’aria/ mi ricordano/ che io/ attraverso te/ esisto”.
E il mondo è ancora la natura. Pure verso di questa ha accenti di ammirazione e quasi di ebbrezza: “…applaudi al cielo e alla terra./ Ammira il tutto che ti attornia./ Inebriati di beata esistenza./ Ubriacati di gioconda presenza./ E/ ama come non hai mai amato”. E l’amore che si dà ritorna. “Con giocosa meraviglia/ dona amore e/ il suo amare a lei torna”.
In definitiva noi potremmo tradurre il titolo “La giostra dorata del ragno che tesse” con questa espressione: “La vita felice dell’uomo che costruisce la sua esistenza secondo scelte di bene, scelte di amore”.
Non sempre però è così. E Giovanna Fileccia constata che “Bene, buon senso e calore umano/ gettati in un fosso” e vede “Orecchie chiuse all’ascolto/ bocche chiuse al conforto/ mani chiuse all’abbracci/ occhi rifiutano di guardare l’altro”. E chiede “Perché uccidi con leggerezza?” E, indignata prorompe: “Fermati./… Perché usi il libero arbitrio contro te stesso?” Ecco, l’uso del libero arbitrio può andare in due direzioni, verso il bene o verso il male. L’insieme allora delle poesie sul male, che a tutta prima sembrerebbero stonare con la giostra dorata, con la felicità, invece ne risultano assolutamente pertinenti, come fossero una contro testimonianza, una testimonianza in negativo, della giostra dorata. E questo contribuisce all’unità dell’opera, e unità significa compattezza nel suo concepimento, senza dunque divagazioni, dispersioni di idee. E l’unità è arte, l’unità fa l’arte. Ne è una prerogativa essenziale. Dunque possiamo concludere che la poesia di Giovanna Fileccia è arte.
Il nucleo poi di tutta l’opera, il punto focale, sembra essere proprio l’uso del libero arbitrio, che sta alla radice di tutto, la scelta cioè, che ancora, sprofondando le radici nella anima di Giovanna, ne sia ella consapevole o no, può essere stata la molla, la scintilla, che ha fatto scattare in lei il concepimento di quest’opera. Ne sia stato il motivo ispiratore. E collima, a conferma di quanto detto, con il messaggio che scaturisce dall’opera: “salite sulla giostra del divenire”. Messaggio che è un invito a scegliere con coraggio, a operare, a vivere, senza tirarsi indietro, nelle scelte di bene evidentemente.
Giovanna, dunque, donna intraprendente e coraggiosa, biasima la viltà, l’indifferenza, l’inezia. Schietta e generosa, detesta l’egoismo e l’ipocrisia. Il suo sdegno comunque si apre alla speranza. Ne “La casa di Tano” scrive: “Capto voci d’odio del passato/ dedico voci d’amore al presente/ immagino voci di speranza nel futuro”. Condanna la violenza e l’oppressione; il suo animo sensibile e pietoso la induce a compenetrarsi nel dolore di chi subisce, ed è pronta a soffrire con chi soffre, a piangere con chi piange. Lamenta inoltre ai giorni nostri “ dove sia finito il senso fraterno di tendersi la mano nel momento del bisogno”.
Ora come il tema del male forma un tutt’uno con la giostra dorata, così è per il tema dell’arte, della poesia. Afferma infatti Giovanna Fileccia. “Anche il poeta è un ragno che tesse”. E aggiunge: “Mi piace pensare alla poesia come una ragnatela di parole, con gli spazi vuoti intervallati da versi e strofe”. E osserva ancora: “Gli artisti, proprio come il ragno, tessono la propria tela ognuno con il proprio strumento: il pittore con i colori, lo scultore con l’argilla, il musicista con le note musicali, e così via”. E come la giostra è sempre uguale e sempre diversa (“Salite sulla giostra del divenire/ dove l’andare è più importante del dire/ mentre tutto cambia pur rimanendo uguale…”) così Giovanna sente se stessa come poetessa: “Frammenti vetrosi/… riflettono parvenze/ di mille me stesse/ tutte uguali eppur diverse”, e ribadisce : “Pezzetti di vetro/… Raccontano storie/ di mille me stesse/ tutte uguali eppure/ tutte diverse”. Questo perché la poesia di Giovanna è sempre in evoluzione. Scrive infatti: “Ma è giusto dirti che tutto/ è in perpetuo movimento”. Una poesia la sua sempre in moto, come la giostra: “…perdermi tra/ i meandri della mente,/… percorrendo../ dedali intricati/ grovigli creativi,/ labirinti dai/ mutevoli ideali”. Possiede uno spirito creativo effervescente, in ebollizione, è un vulcano, un fiume in piena. Però i suoi versi non sono irruenti o impetuosi, anzi soavi e delicati come i fili della ragnatela: “…scrivendo versi fragili/ come piume e foglie/ celando tra pause e spazi/ molto più di quel che dice”. La sua poesia è appunto come la tela del ragno, aerea, fragile, dove anche i vuoti sono pregni di un significato recondito: “Svolazzano colori emozioni compresse in fluenti estensioni”. Talora il senso è un po’ vago, ma ella affida i suoi versi alla libera interpretazione: “Rimuovo le parole, lasciando il colore libero di espandersi nella interpretazione”. Ma sempre i versi vibrano dei palpiti del cuore: “Fluenti emozioni/ piene di un sè vibrante”.
Talora c’è nella sua poesia cena” così scrive: “…il cuore batte./ Tam Tam di vita/ si va in scena./ Note vibrano/ raccontano d’aria,/ d’allegria,/ di morte/ di gioia,/ di stupore,/ di sensi d’amore/ di terre specchiate in mari a colori” mentre “Fili avvolgon la platea./… E piove su visi grondanti emozioni”. E così come avviene nel teatro, dove si ha di fronte la platea, l’autrice, con la poesia, sente viva l’esigenza di comunicare col pubblico, e di coinvolgerlo: “mentre affidavo trecce di pensieri/ al vento/ affinchè raggiungessero/ ogni luogo nascosto/ ogni creatura vivente”. La sua poesia allora si apre ad un afflato cosmico e “…mi aggrappai alle trecce, e lì/ stetti/ ad ascoltare il/ linguaggio universale”. La poesia infatti accomuna tutti perché siamo tutti fatti della stessa pasta; unisce tutti i popoli della terra, così come unisce terra e cielo. E’ un riflesso di cielo. “Non piangere luna/ la mia urgenza del nuovo/…che vortica nell’essenza divina”. La poesia infatti riflette sempre verità, bontà e bellezza, che sono prerogative di Dio.
La poesia di Giovanna Fileccia è anche originale, personale direi, inconfondibile, sia per il contenuto che per la forma. L’andamento dei versi talora si distacca dagli schemi convenzionali e fluttua libero nel foglio in un movimento ondoso quasi a seguire i palpiti del cuore; il verso, talora un po’ teatrale, scorre agile e veloce con immediatezza e vivacità, come possiamo osservare nella poesia “Desiderio d’allegria” dove leggiamo: “Basta piangere!/… Di gioia vorrei ridere./ Come posso fare?/ Bandendo la tristezza/ lasciando fluire/ quella brezza d’aria pura/ che sommessa fuoriesce/ incalzando l’ombra scura”. Ora tutta la poesia di Giovanna Fileccia è di buon tono, forbita ed elegante, attraente e suggestiva. Anche i titoli sono molto poetici: “L’ombroso azzurro”, “Melodia silente”, “Fiore di mare”. Uno stile che è un ricamo. La stessa Giovanna afferma: “Spesso paragono la scrittura ad un ricamo prezioso; piccoli punti che fanno affiorare un disegno ben definito: una nave che lascia la scia, un gabbiano che stride nel cielo”. Uno stile soave e delicato, che riflette un animo puro, capace di stupore, come quello di un infante. Mi ha colpito una frase in un libro di poesie in dialetto che ho recensito un po’ di tempo fa che dice: “ ‘U Pueta avi l’occhi di nutricu”. E questo si addice perfettamente a Giovanna Fileccia.
E come il bimbo guarda verso la sua mamma, così la nostra poetessa si rivolge alla propria madre nella dedica in esergo al libro: “E al Ragno madre amorevole che protegge con la sua ragnatela”. Inoltre elle ci confida: “Da qualche tempo ho la sensazione che sopra la mia testa ci sia un invisibile ragno, che tesse una ragnatela. Spesso ho la sensazione che questo ragno invisibile si diverta a creare situazioni che all’apparenza non hanno alcun senso ma a distanza di tempo si rivelano essere decisivi per il mio percorso artistico”. E questo ragno che sovrasta la giostra, che sta al di sopra del Tutto che attornia, veglia e protegge, guida e dirige l’umanità che ne sta al di sotto. Un’idea simile la troviamo nell’ultima deliziosa poesia che è quasi un poemetto, dove il ragno ha la funzione di proteggere e difendere l’umanità. Nei versi che chiudono la poesia e anche tutto il libro troviamo queste suggestiva immagine: “Il ragno.. continuò a tessere la sua ragnatela/ che oltre ai raggi del sole,/ arricchì di polvere di luna,/ di pioggia cristallina,/ di vento di frescura,/ e di bontà divina./ E ancor oggi,/ nelle notti di luna piena,/ si intravede la mano perlacea/ tessuta dal ragno/ a illuminar la sera”.
Maria Elena Mignosi Picone
Palermo, Villa Niscemi, sabato 9 aprile 2016