Prefazione di Pippo Oddo: “Giovanna Fileccia e la poesia sculturata come ricerca e tessitura del destino umano”.
Bianca la campagna,
nivura la simenza,
l’omu chi simina
sempri pensa.
È una perla di saggezza campagnola che i vecchi contadini del mio paese, perlopiù analfabeti, ancora nel secondo dopoguerra chiamavano dubbiu, indovinello. Ma c’era poco da dubitare. Era risaputo (non solo al mio paese ma in tutti i comuni rurali a vocazione cerealicola dell’Isola) che quella frase era un inno alla scrittura, paragonato all’atto più sacro del lavoro agricolo: la semina dei cereali, dal cui esito dipendeva la sopravvivenza della specie umana. Parlando di bianca campagna, si alludeva alla carta da scrivere, di nero seme all’inchiostro e di seminatore a colui che scriveva. E scrivendo, cercava di chiarirsi le idee sul significato dell’insieme dei segni che stava imprimendo sul foglio e sull’effetto che avrebbero avuto sui destinatari del messaggio. Pensava e rifletteva, chi scriveva, s’interrogava sul senso stesso della vita con la medesima trepidazione del contadino che sacrificava alla Madre Terra parte del poco grano di cui era in possesso, senza nessuna certezza di poterne raccogliere di più nell’estate successiva!
Intervista di Lidia Vitale: http://www.cinisionline.it/2015/12/18/la-giostra-dorata-del-ragno-che-tesse/19643
http://www.cinisionline.it/2015/11/15/settimana-della-cultura-2015/19284