A cura di Giovanna Fileccia.
Il romanzo di Elisabetta Fioritti è bianco, sa di latte caldo e biscotti al miele. Profuma di torta alle mele speziata alla cannella. È il frutto genuino, pulito di un’autrice che desidera mettere nero su bianco la vasta gamma delle emozioni racchiuse nello scrigno dei giorni.
Come avrete inteso la mia sarà una recensione emozionale perché tale è il contenuto de “L’odore dei giorni”. Il volume mi è arrivato in seguito alla mia partecipazione al contestgara organizzato dalla poetessa Alessandra Di Girolamo che amministra il gruppo “Gli amici delle emozioni“. Elisabetta Fioritti in questo caso ha messo in palio due dei suoi libri. Io sono risultata vincitrice dopo che gli stessi componenti del gruppo Facebook mi hanno votato. “Lettera alla Terra”, è questo il titolo del mio testo, e la Terra è piena di odorosi profumi: Terra che a volte sa di vento, altre sa di mare, oppure di pioggia, e perfino di nebbia.
Elisabetta Fioritti tra le pagine del suo libro ci racconta di Barbara, una donna che è figlia, sorella, madre, moglie, amica. Una donna che nei vari ruoli sa apprezzare tutti i giorni che le toccano da vivere. L’autrice attraverso Barbara evidenzia uno spaccato di vita dove ogni cosa sembra essere al suo posto, eppure dentro le ore dei giorni gli odori possono essere sgradevoli, intollerabili, difficili da assorbire, ma anche felici, leggeri e piacevoli da attraversare.
“L’odore dei giorni” narra una storia semplice ma ricca, l’autrice ha scelto di raccontare il vissuto di Barbara in terza persona, e tale scelta mi induce a chiedermi: forse desidera mantenere un certo distacco tra sé e ciò che lei stessa narra? Nel leggere ho avuto la netta sensazione che la storia di Barbara e di Elisabetta coincidessero in un gioco a incastro, tra realtà e verità. Non conosco l’autrice, non ci siamo sentite neanche al telefono, per cui la mia è soltanto una sensazione eppure sono quasi certa che ci sia molto di autobiografico tra le pagine del libro.
La protagonista, Barbara, la osserviamo mentre cresce. Ci tuffiamo con lei nei suoi ricordi che comprendono la nonna, il portiere, lo zio Antonio. Poi incontra Marco e dopo tanti anni di matrimonio ecco che arriva Giuliano, il figlio maschio che arricchirà i giorni di felicità, ma anche di apprensione.
In ogni capitolo è evidente la fede che Barbara ha in Dio, luce primaria dei suoi giorni, Elisabetta autrice la evidenzia permeando il libro di armonia e di un buon profumo di amore incondizionato sia per la famiglia, gli amici, la gente in generale, che per la Terra, gli animali e la natura tutta.
Ciò che mi ha colpito maggiormente in questo romanzo è la grande libertà di movimento di Barbara e Marco, loro non hanno paura di affrontare i giorni.
Riporto un brano: “Nuotarono tra mare e grotte, l’acqua limpida color turchese, un paesaggio di luce, la compagnia degli amici, gli spruzzi di schiuma.
Mangiarono pane casareccio con un formaggio locale, di pecora, seduti tra gli scogli, ancora umidi del bagno in mare. Qualcuno intonava Battisti, saltò fuori una chitarra dal cumulo disordinato dei bagagli. A seguire le canzoni di Baglioni, che Barbara cantava a squarciagola, un po’ stonando, senza sbagliare una sola parola. Si cambiarono in macchina, vestiti asciutti, capelli arricciati dalla salsedine, il profumo del mare sulla pelle, ripartirono verso la loro meta.”
Poi più avanti leggo: “Barbara era ossessionata dalla sete. Le sembrava di essere tornata a Foggia, a quando in agosto il vento caldo spazzava via le strade del Tavoliere, e ti sembrava di essere nella bocca di un forno. L’ingresso dell’inferno, l’asfalto che si scioglieva sotto i piedi, la sete come unica compagna, quasi un’ossessione. Qui la sensazione era la stessa, dal mattino appena sveglia fino a sera, solo sete. Fecero come i siciliani, granita e brioche a colazione, acqua, poi cibi freschi, acqua, coprifuoco da mezzogiorno a metà pomeriggio, poi al mare sempre in acqua. Il mare, stranamente fresco, spazzato continuamente da quel vento tiepido che ti ubriacava, e che portava odori di fiori e di sale, l’aroma dei fichi d’India e della macchia mediterranea.”
Lo stile di Elisabetta Fioritti è asciutto e profuma di gelsomino e piccole margherite di campo. Concludo con le parole della stessa autrice, la quale attraverso la storia di Barbara ci trasmette questo messaggio: “L’amore universale rendeva Barbara consapevole di essere parte di un tutto, elemento di terra che ha dentro un pezzetto di infinito.” Credo fermamente che sia questa l’essenza più pura della vita. Tutti noi facciamo parte del Tutto e il Tutto è parte di noi.
Non mi rimane che ringraziare Elisabetta Fioritti. Un grazie alla poetessa Alessandra Di Girolamo, amministratrice del suddetto gruppo, ella con slancio e generosità ci dà l’opportunità di conoscerci tra noi scrittori e artisti.
Giovanna Fileccia
Terrasini, 12 ottobre 2020