Leggo e recensisco. NOI COME SPECCHI DI CRISTALLO, di Alice Silvia Morelli. Damster edizioni.

Recensione di Giovanna Fileccia

La raccolta poetica di Alice Silvia Morelli possiede i suoni della musica jazz a tratti rude e disarticolata. Una musica incurante di regole e schemi, libera di produrre onde sonore che stridono e danno vita a sentimenti di rabbia e dolore, di gentilezza e amore. Ma così come ogni brano Jazz ha una propria armonia, anche ogni poesia di Alice ne ha una propria. Ed ecco sbucare tra i versi una serie di suoni elastici e fioriti.

Il titolo è rafforzativo: gli specchi sono di cristallo, quindi molto resistenti.
Gli specchi riflettono, ma sono incapaci di pensare; riflettono, ma sono incapaci di parlare, di parlarci. Noi di fronte a “lui” siamo soli davanti a noi stessi, esattamente così come siamo: nudi e fragili. Piccole anime piene di tagli, piccoli cristalli pieni di luce.
Le poesie contenute nel libro “Noi, come specchi di cristallo” sono piene di tagli, sono rotte, interrotte da trattini incisivi. Segni che separano parole che però si ricongiungono alle altre; trattini che solo l’autrice sa. Eppure a me appare chiaro come ogni tratto sia un dolore, un segno inciso nella carne, un tratto che rimane indelebile, inciso nelle ossa.

Alla lettura delle poesie di Alice non mi stupisce che la mia “Madre mancata” (tratta dal mio primo libro Sillabe nel Vento) le sia piaciuta tanto da premiarla al contestgara ideato dalla poetessa Alessandra Di Girolamo, amministratrice del gruppo “Gli amici delle emozioni“. Alice è stata protagonista del contestgara con due dei suoi libri. “Madre mancata” è una poesia incisa con scrittura rovente nelle ossa, così come è la poetica di Alice.
Io amo i libri, mi tuffo tra le parole e nuoto con la mente e con tutti i sensi, oltrepassando il quinto senso, per superare il sesto e così via in un viaggio senza confini, né limiti.

La poesia in generale non si spiega, piuttosto si dispiega, si apre da sé a chi si approccia ad essa.
La poesia di Alice mi ha dispiegato versi taglienti capaci di incidere le mie carni poiché mi hanno catapultata in un mondo che conosco e che tengo stretto in seno.
“Tu che ne sai?”, chiede l’autrice, “di un destino prepotente /dove non ci puoi fare niente./ Delle notti dove non si dorme/ Tu che ne sai!”
Per Alice la vita stessa è un “viaggio / è una canzone estiva, una risata/ oppure un dolore profondo se hai nostalgia / Il viaggio/è uno sconosciuto/ che nel silenzio ti porge un aiuto.”
Tra le sue poesie ce n’è una che si intitola “Parole” che recita: “Le parole giocano nel mondo /Mimano nel vento storie segrete./ Quelle non dette si dissolvono in dolori./ Se ingoiate occhieggiano boccioli.”
Emerge tra le poesie contenute in questa raccolta un forte desiderio di sole, un forte voler tornare al mare, nella poesia “Palermo” Alice scrive: “Mi manca il mio mare/ dove ho annegato gli occhi e gli intimi sogni.”

Oltre ai trattini che interrompono le parole, c’è nelle poesie della Morelli un dettaglio che fa parte del suo stile, lei ogni tanto utilizza le forme contratte di “questo” e “una” trascrivendo “‘sto” e “‘na”, come se avesse fretta di arrivare come se le mancasse un pezzo da ricompattare. Ho recensito tanti libri, (alcune recensioni QUI:Leggoerecensisco) e di molti di essi ho parlato nella mia rubrica #Tiraccontounlibro, eppure mai mi è capitato di trovare forme contratte di parole inserite in questo modo singolare. Nel dialetto siciliano ciò è molto frequente ma in italiano no. Eppure Alice dando un calcio alle regole, forte di questo suo modo di scrivere che tanto somiglia alla musica jazz, intercala l’italiano con le forme contratte contraendosi, a sua volta, dentro se stessa. Io la immagino trattenere il respiro, la immagino con una gran voglia di comunicare con il mondo là fuori, tentare l’impossibile per farsi vedere e ascoltare, ma sopratutto la immagino mentre si sforza di comunicare con tutti i frammenti di cristallo che la compongono.

Tutto il libro è un’alternanza di immagini e parole, e a pagina 73 Alice affianca i seguenti versi a l’immagine di una rosa: “Lei, era fragile come una rosa/ metteva tante spine attorno a sé/ per evitare che qualcuno/ ne venisse a conoscenza.”
Le spine sono le essenze del nostro essere, ci proteggono e allo stesso tempo ci danno la possibilità di difenderci. E noi come specchi di cristallo non possiamo che difenderci dai tagli che la vita ogni giorno ci perpetua.

Nel redigere questa mia ho scritto una poesia che dedico ad Alice e a tutti voi. Raramente mi è capitato che i libri recensiti mi ispirassero poesia, oggi è accaduto e ne sono lieta. Ringrazio Alice Silvia Morelli, e un doveroso ringraziamento all’amica Alessandra Di Girolamo, compagna d’avventure poetiche che il nostro viaggio sia un “divenire” ricco di emozioni.

FIBRE DI PIOMBO

Resistenti e pure fragili
Noi fatti di fibre di piombo
anime resistenti al dolore
spaccate dentro
ma mai frantumate

Noi specchi che riflettono
immagini composte
con gli occhi al proprio posto e
la bocca con gli angoli in su

Noi specchi rotti
dentro ingranaggi inceppati
fermi all’ora zero
costretti a incollare i cocci
con una mistura di sangue e lacrime

Noi non più integri
ma pezzi ricamati d’oro rosso
ricchi di sale
ricchi di sole riflesso in capelli
che si allungano
ignari
della morte.

Giovanna Fileccia

Lì, Terrasini 18 ottobre 2020

#GiovannaFilecciaParoleeSabbia

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