Settimo appuntamento con la mia rubrica “Leggo e recensisco a cura di Giovanna Fileccia” . Qui i titoli dei libri e gli autori e autrici: https://giovannafileccia.com/2022/09/12/leggo-e-recensisco-prossime-recensioni-dal-19-settembre-2022/
Certa del Vostro supporto. G. F.
Servatis Vitam, Teresa Enrica Messana. Edizioni Il Foglio, 2019. Recensione a cura di Giovanna Fileccia

Vorrei sapere niente
I cerchi si chiudono
Le spirali portano al cuore
È questa la prima poesia che Teresa Enrica Messana propone nella sua raccolta poetica Servatis Vitam, il desiderio di obliarsi in un vuoto dove vorrebbe non sapere niente. Un niente che invece la poetessa sa poiché le poesie sono un costellamento del suo vissuto, un dono alla vita che vive in lei malgrado le ostilità dei giorni. Le spirali portano al cuore e aprono porte del domani. Che sia un domani bianco o colorato non importa, ciò che invece conta è vivere.
Un inizio pieno e corposo riporto in questa mia, che si protrae nella seconda poesia, anche questa senza titolo, nella quale percepisco insieme: stanchezza del vivere, esigenza del vivere, bisogno di amare, la vita e la morte al centro di un niente, un niente che è tutto da salvare. Un tutto che scandisce un tempo che trita se stesso come si evince dalla poesia a pagina 13, dove il tempo trita fiati così come le scarpe sul selciato tritano le foglie secche, eppure, scrive Enrica, ogni fiato tritato rinasce cuore.
E sbuca un cuore a metà dal disegno in copertina realizzato della stessa Enrica Messana: tratti ora circolari ora spigolosi tra il viola e il nero. Poi un punto rosso e una bocca scarlatta in un viso stilizzato che pensa, si pensa.
La poetica di Enrica narra la mancanza stratificata che va da un semplice sguardo non ricambiato a un corpo che non può più essere carezzato, narra la pianezza del dubbio poiché ella oscilla tra domande e riflessioni sul senso del vivere e del morire. Ella narra la lievità di un prima e di un dopo. Un displuvio angolare dal quale balena un taglio netto che mette un punto.
Riporto la poesia a pag. 24:
Nulla di fatto.
L’infinito è finito,
tra te e me.
Eppure il punto sottintende un nuovo paragrafo un nuovo adesso. Ed è l’urgenza dell’adesso la necessità che impregna la poesia di pagina 28 che recita:
C’è sempre un prima e un più tardi.
Amami come se fosse l’ultimo giorno,
sono vita adesso.
Le poesie ne Servatis Vitam sono salti inaspettati e disincantati che dal punto a al punto b sorprendono e stupiscono. La Nostra segue un percorso solo suo non le importa che al lettore arrivi il suo intento, il concetto, Enrica, lo esprime per se stessa, per buttare fuori parole-come-dolore; dolore-come-catarsi; catarsi come sigaretta che attende di essere fumata, vissuta. (Pag. 36)
La Messana ha uno stile personale che in questa seconda pubblicazione è più marcato rispetto alla sua prima raccolta dal titolo Ritroviamo le parole: un incitamento alla ricostruzione, o ricostituzione, di un linguaggio essenziale come essenziali sono gli haiku contenuti nella stessa.
Unadelle caratteristiche che ho notato in Servatis Vitam è che a volte una poesia risulta composta da più poesie brevi che appaiono slegate tra loro nonostante siano unite poiché sono parte di un’unica lirica. Ne sono un esempio Sera, Vita, Città. Di contro le poesie a pagina 37 e 39 sono un corpo unico, sono entrambe piene e mancanti nella loro pienezza. La seconda, a pag 39, non ha punteggiatura, è tutta un fiato, un soffio, un vento che accompagna, che spazza e spiazza.
Le poesie di Teresa Enrica Messana spiazzano. Le tematiche sono legate alla vita e alle emozioni. Sono poesie intime e intimistiche, segmenti di visioni vergati in dormiveglia quando il sogno e la realtà si mischiano e nel momento del risveglio non sai dove sei, chi sei, cosa hai fatto, cosa è accaduto, cosa farai domani, tra un anno. Ora.
Servatis Vitam: ho osservato la vita, sembra dirci Enrica Messana, e ora dopo tanto osservare sono piena di maturità e di consapevolezza. Ora dopo tanto vivere e saltare so e conosco quello che so. Certo, il mio desiderio più grande è sapere niente… ma.
Ho trovato preziosa la poesia a pagina 52 dove le case sono scatole e i balconi sono aperture verso l’esterno dove puoi trovare anche l’infinito nel senso di “qualcosa mai finito”, qualcosa che c’è anche se non lo vedi. Cosa è l’infinito se non un luogo senza fine, un luogo che pur sapendo che esiste in verità non sai com’è realmente.
La poesia della Messana è nostalgica. Trascrivo i due versi finali di pagina 53. Eccoli:
Trafiggere il dolore vorrei
di libertà.
Chi ha sofferto vorrebbe trafiggere il dolore di libertà in modo che, dallo squarcio aperto, libertà si espanda per correre lieve sui fili della vita. Solo così la ferita può rimarginarsi: liberare il dolore farlo sanguinare e poi unire i lembi della ferita e lasciare che l’aria l’accarezzi.
Terrasini, 25 dicembre 2021
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