Leggo e recensisco a cura di Giovanna Fileccia” . Qui tutte le recensioni
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Relazione a cura di Giovanna Fileccia per la presentazione del 16 dicembre 2022 presso la Biblioteca Comunale “Claudio Catalfio” di Terrasini (Pa).

Di notte, solo di notte, di Giusi Russo. Rossini Editore, 2022
LA VITA – CHE – VUOLE ESSERE GUARDATA
In questi anni mi è capitato di presentare libri che secondo la mia interpretazione avevano colori che andavano dal bianco al rosso, dal verde all’azzurro; altri che erano tendenti al giallo o al grigio, ma è la prima volta che presento un romanzo dai colori del buio, un romanzo che già dal titolo Di notte, solo di notte rafforza il messaggio. E la notte è ritratta anche in copertina: uno sfondo nero e un profilo appena accennato di donna dai lineamenti cesellati: il naso all’insù, la bocca ben disegnata, la fronte alta. Una donna quasi trasparente totalmente rapita dai suoi stessi pensieri. Il libro come vedremo trasporta il lettore in vortici di prosa poetica e di narrazione centripeta (poiché il centro della storia narrata da Giusi Russo è Angela).
Nella sua prefazione Laura Corsini scrive: “Giusi passa in un istante dall’aulico più sublime e cruscante alla parola sfacciata, lanciata in faccia come una secchiata di acqua gelida.” Io mi spingo un po’ oltre e affermo che la storia che leggerete vi gelerà al di là delle parole scritte poiché questa che oggi andremo ad affrontare è una vicenda fuori dall’ordinario capace di fare rabbrividire anche coloro che sono avvezzi all’oscurità dell’anima.
Il c’è dell’incipit è una accetta, un’anafora che batte il tempo un c’è che è esserci nonostante tutto. Ma chi c’è dietro quel c’è? Già dalle prime parole facciamo la conoscenza di Angela la quale si racconta a noi lettori e scrive per imposizione e per necessità perché ha un tumore alle corde vocali ed è in attesa di un intervento chirurgico. “Scrivo per trovare il punto di origine” afferma Angela, un punto difficile da raggiungere poiché sta dall’altra parte della parentesi. Le sue parole hanno un unico destinatario: Carlo il figlio. “Ti penso altrove, so immaginarti intatto\ Tu prima di me, prima della ferita.”
Angela è protagonista e voce narrante. Dice: “ho percepito la mia vita come un destino che ha saputo attendermi”. E il destino ha una collocazione ben precisa a cominciare dall’anno: il 1990. Angela è un’antropologa e con il suo collega e amico Alfredo in quel periodo si trova a Lampedusa, lì incontra il giornalista vecchio\giovane con il quale affastellano parole su parole, citano Parmenide e Platone e amano entrambi il mito della caverna. Angela rivede Ivano al funerale della zia Lorena, ne è attratta tanto da desiderare di farci l’amore. Ma quel momento che lei aveva idealizzato si trasforma in dramma poiché lui, Ivano, la stupra, lasciandola ferita dentro e fuori. È l’amico Alfredo a prendersi cura di lei senza chiederle nulla. Nelle settimane che seguono lei dimagrisce e volutamente dimentica di essere stata stuprata. Ma, mi chiedo, si può dimenticare una violenza subita?
Poi, per caso, Angela vede Ivano a Torino in compagnia di un’altra donna -Enrica- e i due sembra che sprigionino amore; entrano in un portone ma… poco dopo eccolo davanti a lei: le parla e lei parla con lui. Angela… una donna attratta dal suo stupratore.
Di notte, solo di notte è un viaggio a ritroso, Angela ricorda con estrema chiarezza uno dei giorni che ha passato insieme a Ivano: lui l’ammalia e Angela si veste di sensualità e di dipendenza tanto da chiedersi “Che sto facendo?”, e ciò che è evidente al lettore è la disperazione che… si aggrava di umiliazione la sera in cui, durante una cena, Ivano si indispone e la lascia al tavolo del ristorante da sola e lei rimane seduta ad attendere il suo ritorno. L’abbandono è qui emblematico e doppio: lui abbandona lei e lei abbandona se stessa.
Il romanzo di Giusi Russo traccia il ritratto di una donna fragile con un’autostima vicina allo zero ma che nel sapere cosa sia la compassione trova il modo per non soccombere allo sconforto. Ella dice “La compassione l’ho incontrata negli occhi impenetrabili di Michele, come un accidente piombato all’improvviso, l’insopportabile interferenza da rilasciare indietro per non perdere il suo ruolo di padre.” E qui avviene l’inganno maggiore poiché ella provando compassione per se stessa, nel ritrovarsi nel ruolo di donna desiderata, non sa reagire, non è capace di ribellarsi, non riesce a distaccarsi da questo uomo assoluto, egoista e anaffettivo. Ivano la soggioga, la esaspera eppure Angela lo accoglie e lo accontenta al di là di ogni ragionevole richiesta. La normalità in questa storia non è di casa, è una storia paradossale e implosiva. Non c’è ribellione in Angela. Forse il suo l’atteggiamento remissivo posso rintracciarlo nel suo primo vagito: è in quel momento che si giocherà la partita della sua esistenza. Lei nasce e la madre muore. Abbandonata fin dal suo primo pianto, è cresciuta poi con un padre collerico e assuefatto all’alcol. Eppure è una donna che al lavoro dimostra una forte personalità e sicurezza. Ma nel suo rapporto con Ivano è debole.
Ivano è come se conoscesse l’attimo perfetto tra la supplica e il calcolato sopruso: c’è penetrazione anomala da parte di lui e assenza di orgasmo da parte di lei, amante vergine. Angela è sopraffatta dalla forte personalità di quest’uomo vecchio\giovane, che le taglierà i capelli con foga e cattiveria e lei, annichilita e rassegnata, coprirà la testa rasata con un foulard nero: simbolo di lutto per la sua chioma e per la sua vita. Eppure Angela, in un modo singolare, gli farà scontare l’onta, poiché escogiterà un piano iniquo per rimanere incinta.
Mi chiedo: quanto il desiderio di essere madre può giustificare rispettivamente: la non-ribellione all’abuso, l’accettare il ruolo di vittima e il ricorrere all’inganno? Ciò che mi appare evidente è che Angela nel suo narrare non prova rabbia ma rassegnazione; la rabbia è assente anche quando lei vive il presente. Come mai? Forse il motivo potrebbe essere il seguente: Angela è inconsapevolmente attratta da Ivano perché rappresenta l’uomo che lei reputa “giusto” come padre per suo figlio: Ivano è bello e intelligente, sicuro di sé e indipendente. Ma questa è solo una mia interpretazione, un ricercare da parte mia un motivo logico per il quale Angela soggiace e non si ribella al dominio di questo uomo.
Di notte, solo di notte è un romanzo che bisogna leggere tra le righe. La trama è nascosta dalle parole e le parole svelano, pagina dopo pagina, una sovrastruttura stilistica volutamente intrisa di poetica. Giusi Russo descrive Angela come una donna socievole e intelligente, realizzata dal punto di vista lavorativo e ben integrata nel tessuto sociale nel quale si muove con scioltezza. Eppure vive la relazione con Ivano in completa solitudine, si autoesclude dalla vita delle persone che le vogliono bene e si allontana da chi le consiglia di scappare a gambe levate da quest’uomo. La passione che prova e più forte di ogni altra cosa. Ha bisogno di lui, è schiava di un amore malato e paludoso, un amore che la fa prostrare e sprofondare nelle sabbie mobili che tutto inghiottono e dalle quali nulla riemerge. Angela deciderà di scappare solo dopo un incontro con Enrica che l’annienterà facendola sprofondare nel tetro abisso. Raggiungerà il collega e amico Alfredo in Africa è lì nascerà Carlo.
Questo è un romanzo crudo. Nel leggerlo rifletterete molto e riderete poco, eppure un guizzo di leggerezza lo troverete a pagina 240, una leggerezza subito soppressa da una depressione fatta di parole e sentimenti dall’aria pesante come cappa che porta afa e scirocco. Un vento pesante di piume nere a ombrello sopra capelli che sono prigionieri e prigione di un destino. E il destino ha le sembianze di un incidente stradale, e quando Angela si sveglia in ospedale, accanto a lei c’è Ivano e, al suo “Perdonami”, lei cede e sa che senza di lui nulla ha senso. E finalmente pochi giorni dopo gli comunica dell’esistenza del loro figlio Carlo e vivranno la fase più felice prima del profondo buio.
Ma il mattino dopo, puntualmente, si dissolve. E il mattino è un’anafora, un ritornare al tocco iniziale, al c’è dell’incipit. C’è la notte e c’è il giorno a cadenzare la mancanza, l’assenza; la notte col suo buio salvifico e il giorno con la sua luce che addita. Poi, nello spiraglio -nel cuneo di luce-, appare una visione che ingloba il buio-dolore e, solo per un momento, il nero della notte ritorna al cielo e si lascia risucchiare dal buco nero. Cosa ci sarà dall’altra parte?
“La vita ci chiede uno sguardo, vuole essere guardata.” A dispetto del dolore, della violenza, dell’angoscia, a discapito della dipendenza, dell’annullarsi; a favore dell’amore, della passione, del combattere con se stessi… contro se stessi.
Con stile stridente e aspro, Giusi Russo trasporta il lettore in un viaggio verso l’inferno. Un percorso a ostacoli dove le parole sono strade da scavalcare, rincorrere, staccionare. La sfida è superare l’ostacolo per raggiungere quella meta chiamata rispetto. Rispetto per l’amore, per la donna, per i figli. Rispetto per il corpo, per l’anima e per la psiche. Rispetto che significa usare le mani con dolcezza e le parole per trasmettere tenerezza. Ogni forma di violenza ha il suo risvolto, ne ho parlato tanto e continuerò a ribadirlo a denunciarlo attraverso ogni canale possibile, dalla poesia, al monologo teatrale e attraverso i libri che presento come questo di Giusi Russo. Negli anni ho realizzato che è la gentilezza la grande assente nei rapporti interpersonali, quando manca la gentilezza viene meno anche il rispetto.
Mi avvio verso la conclusione di questa mia e Vi invito a scoprire le risposte a queste domande: Angela riemergerà dalle sabbie mobili? Perché si trova in galera e come andrà l’intervento alle corde vocali? Inoltre: Come reagirà suo figlio Carlo nel leggere la lettera? E per finire: come ha potuto Angela confidare al figlio le brutture che ha subito?
Nel romanzo di Giusi Russo le parole sono stampelle con le quali procedere, sono pennellate che segnano strade da percorrere affinché ogni persona -donna o uomo che sia- possa ritrovare la stima per sé stessa, possa amarsi tanto da desiderare per sé solo amore e bellezza.
VUOTO A PERDERE
Un grande fermento
nasce da dentro
riempie il vuoto
avanzando di un passo.
Allunga la mano
estrapola il tormento
nasce un sorriso
tra occhi di pianto.
Vuoto a perdere
reclama il valore
di una lacrima versata
tra le altre perduta
e poi ricordata.
Un’estesa lacuna
agogna riempire
questa misera donna
che non vuol più soffrire.
Involucro di ossa
ricoperte da un manto
corazza di gesso
dall’effimero sguardo.
Sottopelle ristagna
malinconico fermento
acuto disagio
evapora sudando.
Vuoto a perdere
ride e si ribella
conquista valore
espelle il tormento.
Femmina incompiuta
amena sconosciuta
senso di un presente
che sottilmente
senza trucchi poco alla volta
con coraggio
forse, si riempie.
LA DONNA MERITA
Un grazie ogni tanto per quel suo togliere nubi e scansare saette
Una carezza all’anno per quel suo accogliere frutti e foglie secche
Un bacio al giorno per quel suo andare oltre la sera e la mattina
E
Un abbraccio che giunga dal mare e dalla terra
Un sorriso che proceda a rincuorar l’aurora
Un arcobaleno di sillabe nuove per lenire il dolore
Infine
Gioia nell’avvinghiarsi all’albero dell’esistenza.
Giovanna Fileccia
Terrasini 28 luglio 2022
P. S.: Le poesie Vuoto a perdere e La donna merita sono tratte dai miei libri ,”Sillabe nel Vento” e “La Giostra dorata del Ragno che tesse”. (Ed. Simposium 2012, 2015) G. F.
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