Pubblico con gratitudine prefazione per intero a cura di Marco Scalabrino dal titolo “La doppia vita di noi oggetti”. All’interno del romanzo ne ho trascritti alcuni brani.
Un sentitissimo ringraziamento al Prof. Salvatore Vecchio, direttore della rivista di arte, letteratura e scienze SPIRAGLI, www.rivistaspiragli.it , che sul numero 1 – 2 dell’anno 2024 ha voluto pubblicare la nota del Prof. Scalabrino sul mio romanzo.

Nota critica a cura di Marco Scalabrino
La doppia vita di noi oggetti
“Fu un gesto di stizza, un volo del braccio destro che andò a urtare la libreria, a causare la caduta dei libri!”
Era letteralmente una notte buia e tempestosa! In effetti era “andata via la corrente elettrica e una serie di roboanti tuoni si succedeva”. Armando Fieravalli, marito affettuoso di Laura, padre amorevole di tre figli, un maschio, il maggiore, e due femmine, gruppo di famiglia che con affetto e ironia egli appellava “i quattro moschettieri”, stimato professionista palermitano, venne in quel momento “alle prese col suo passato”, giacché fra “la valanga di libri” che gli rovinò addosso vi fu pure una sua agenda. Un caso? “Credo che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze”, sostenne Leonardo Sciascia.
Datata 1994, in tutta evidenza l’annotazione “Oggetti in terapia”, in essa il dottore Armando Fieravalli, psicoterapeuta, “aveva minuziosamente riportato date, nomi e caratteristiche psichiche dei pazienti che seguiva” all’epoca.
Preceduto da un prologo di sole dieci righe, prologo che attiene già a una fase posteriore a quella appena trattata (all’inizio quasi la fine, in un percorso scrittorio efficacemente anulare) e che ci rende edotti di uno scambio di battute (“Vada a casa ed esattamente alle ore 16.05 di domani…”) che avverrà lunedì 1 dicembre alle ore 18.43 fra lo stesso dottore Fieravalli e il signor Raimondi (del quale scopriremo quanto prima l’identità e il ruolo in questa vicenda), superata la parentesi dell’imprescindibile “incidente” domestico sopra enunciato, la narrazione entra subito in medias res e, a motivo del mistero che circonda un certo televisore, che “funziona normalmente ma si spegne giusto in quei pochi minuti in cui va in onda la…”, ci gira una tenue subliminale inquietudine, ci lascia prefigurare che qualcosa di poco consueto ci attende dietro la pagina, ci mette sull’avviso circa talune “serie ripercussioni”.
“Accadde – rammenta il dottore Fieravalli – che un pomeriggio, dopo che una mia paziente fortemente depressa mi descrisse le sue giornate tra divano e frigorifero, ebbi l’idea di raccontarne il disagio. Non potendo però scrivere sui miei pazienti per il segreto professionale ho pensato…”
C’è una linea di demarcazione sottile ma profonda fra il prosatore e il poeta (ambedue le prerogative pure di pertinenza della nostra autrice). Entrambi hanno, nella iconografia tradizionale, a che fare con fogli bianchi, penna, parole, mente, cuore, formazione, inclinazione, esperienze personali… e nondimeno, oltre che nell’evidenza della misura, per quel quid creativo specifico che li contrassegna, pervengono a risultati ben distinti, differenti: il primo, il prosatore, rende universale in ampie facciate un’architettura organizzata del pensiero; il secondo, il poeta, rende universale in un novero contenuto di versi un sentire.
“… ho pensato di dare voce agli oggetti che comunemente abbiamo sottomano”. E così per ognuno di loro il dottore Fieravalli “aveva scelto un oggetto che potesse raccontare il disagio da cui il paziente in questione era affetto”. E ciò, nella più rigorosa deontologia medica, sarebbe avvenuto nel corso di una formale seduta psicoterapeutica.
Ci fermiamo un attimo perplessi! Come può un oggetto, una cosa inanimata, “raccontare”? E per di più non un evento reale, non una circostanza concreta, non un fatto ma un disagio e dunque “un senso di pena e di molestia provato per l’incapacità di adattarsi a un ambiente, a una situazione”.
Interroghiamoci (succintamente) su cosa è l’oggetto e vediamone schematiche definizioni! Oggetto è “ogni cosa che il soggetto percepisce come diversa da sé ed esterna, quindi tutto ciò che è pensato in quanto si distingue dal soggetto pensante; è ogni cosa che cada sotto i sensi dell’uomo, che abbia una forma definita e sia opera del lavoro umano”; in filosofia “designa in generale la realtà in quanto contrapposta al pensiero”; in linguistica s’intende “la persona o la cosa su cui si esercita l’azione esplicata da un’entità agente, soggetto dell’azione”.
Ebbene, appare del tutto lampante, l’oggetto esiste in funzione del soggetto.
Ma cosa succederebbe se l’oggetto, gli oggetti, vuoi per una sorta di ironia del destino, vuoi per l’attivazione di un tunnel spazio-temporale prodigiosamente rivelatosi o per l’inventiva di un’audace penna potessero spiccare un balzo, proiettarsi nell’altra dimensione, potessero divenire a loro volta soggetti? Come percepirebbero il mondo attorno a loro? Come si esprimerebbero? Come si relazionerebbero con i soggetti umani? Perché, in questa narrazione almeno, giusto ciò accade e gli oggetti acquisiscono coscienza, compiono come per il valzer (che ne restituisce al meglio l’immagine) i moti di rotazione e di rivoluzione e percepiscono nitidamente loro stessi e quanto e chi altri è fuori e attorno a loro, parlano in modo inappuntabile la medesima nostra lingua, sollevano delle eccezioni quanto mai azzeccate oltre che sugli stessi oggetti, loro inclusi, persino (udite udite che ardire!) sugli umani. La situazione in quel frangente, c’è fondatamente da supporre, cambierebbe radicalmente prospettiva, costringerebbe gli umani, noi umani a riconsiderarci; perché la condizione del tutto inaspettata, mai prima valutata, mai congetturata degli oggetti, gli oggetti del nostro consolidato quotidiano, allorché dotati essi di sensibilità, di sentimenti, di emozioni, di vita autonoma ci spiazzerebbe, ci sconvolgerebbe, ci disarmerebbe: “Saremmo costretti a vederci esattamente per come siamo”.
Ma di che stiamo parlando?
“Non è cosa di tutti i giorni diventare i protagonisti di un libro”.
“Allora, dottor Fieravalli, questo Oggetti in terapia da dove le è venuta l’idea?”, chiede Ugo Raimondi, da vent’anni cinque mesi e tre giorni editore esuberante. “Lei ha partorito un bellissimo romanzo; ma mi spiega cosa c’entrano gli oggetti con i suoi pazienti?”. E, auto-concessosi un tono confidenziale, Armando, tu “entrerai nella rosa di quegli autori che della fantasia, che in te viaggia a briglia sciolta, hanno fatto la loro fortuna. Io ammiro il tuo inusuale, spiritoso, nonché bizzarro stato mentale”. Al che, lo rimbecca il Fieravalli: “Ugo permettimi di dirti che anche tu sei un tipo alquanto strano: sempre fissato nello scandire il tempo in ore, minuti e secondi”.
In proposito, afferisce al nostro psicoterapeuta ci chiediamo o piuttosto – non ce ne voglia! – alla nostra scrittrice il “bizzarro stato mentale” che irrefutabilmente sta a fondamento dell’edificazione di questo articolato organismo letterario? Perché deve pur insistere uno zinzino di follia (e perché non di genio?!) nel DNA di chi concepisce un siffatto romanzo! Non per nulla ebbe a riscontrare Blaise Pascal: “Gli uomini sono necessariamente pazzi, tanto che il non essere pazzo sarebbe una pazzia di un altro genere”.
Aveva scelto, si è detto, per ciascheduno dei suoi pazienti un oggetto che potesse raccontarne il disagio e quindi, allo scopo di assecondare l’insorto uzzolo della pubblicazione e di accondiscendere alle ineludibili esigenze editoriali, il dottore Fieravalli si risolve di avvalersi di un nom de plume che in vece sua potesse fungere da “voce narrante” e di affidare a un alter ego il ruolo del demiurgo, del “punto di riferimento al quale si rivolgeranno gli oggetti durante la terapia”.
E così, allorquando, nelle circostanze dell’incontro di giovedì 27 febbraio ore 9.43 con l’editore Raimondi, egli ricevette da costui la richiesta di integrare il romanzo al fine di conferire a esso “spessore, contenuto, scorrevolezza”, allorquando scorse alla sua destra l’orologio a pendolo risalente al periodo dell’Illuminismo che spacca il secondo, allorquando al momento di formalizzare l’accordo editoriale con la firma tenne fra le mani la penna a sfera, un “cimelio prezioso”, “tanto cara” al suo interlocutore… decise d’emblée di adottarli, decise che… ecco… sì… sarebbero stati loro, l’orologio a pendolo e la penna a sfera, a ricoprire quei due ruoli di spicco.
Immaginiamoci la scena come da copione: il sobrio salottino dello studio di uno psicanalista, un disadorno lettino, il paziente disteso che parla, il medico in palandrana seduto dietro di lui sì da non essere visto che ascolta e piglia appunti rigorosamente a mano libera, un severo orologio a pendolo addossato alla parete a scandire… tic tac tic tac… il tempo. E adesso (in ossequio al titolo del lavoro) rimescoliamo le carte, sovvertiamo tutto: sostituiamo i soggetti con gli oggetti! È possibile se ci crediamo; è fattibile se vogliamo; ad occhi chiusi se preferiamo. Non vi sono difficoltà da sormontare, frontiere filo-spinate da valicare, salvacondotti da esibire.
Cominciano così ad affacciarsi alla spicciolata i personaggi (il termine oggettaggi pare che ancora sia in attesa di imprimatur), a partire da coloro… (ecco, abituiamoci sin da subito, sin dal pronome col quale ci si rivolge, a trattare gli oggetti, almeno per la durata di questa rappresentazione, a riferirci a loro come fossero umani)… da coloro che vi ricoprono i due preminenti ruoli appena delineati: la signorina Penna a Sfera e il dottor Orologio a Pendolo, i “coprotagonisti, i co-conduttori di questa storia”.
“Ho il compito, per mia stessa natura, di trascrivere tutto quello che i pazienti diranno durante la terapia di gruppo. Sono Penna a Sfera con cartuccia ricaricabile in elegante custodia di pelle rossa; mi trovo dietro un paravento di stoffa e ho a disposizione un mucchietto di fogli poggiati accanto a me. Il medico per cui lavoro, il dottor Pendolo, è uno psichiatra e uno psicoterapeuta e preferisce che io stia nascosta dietro il paravento”, allo scopo di evitare che “i pazienti se mi vedessero scrivere potrebbero inibirsi”. Oggi al suo terzo proprietario, essendo lei “già appartenuta al nonno e al padre” dell’attuale, Ugo Raimondi, ben conscia di rivestire “un ruolo di primo piano”, contenta di se stessa, nutre tuttavia un sogno proibito: “essere di un meraviglioso blu cobalto”. Anche grazie a lei, al suo “tratto nero e sottile”, il racconto si snoda mirabilmente, pare di esserci dentro, catapultati dietro quel paravento, lì trepidanti a seguire l’evolversi degli eventi!
Il dottor Pendolo viceversa, al tempo scandito dalle sue austere lancette, ha l’incombenza delicata e gravosa di “farsi carico dei patemi degli oggetti e mettersi nei loro meccanismi”, di rapportarsi, gestire, coordinare gli oggetti e di accompagnarli “in un percorso in cui ognuno di loro possa riconoscere il proprio malessere”. “Ciascuno di voi – accerta egli dall’alto della sua scienza – avete qualcosa che vi accomuna: soffrite per un disagio, per una qualche mancanza”. E corrobora la bontà della sua proposta terapeutica sostenendo che “è attraverso le problematiche altrui che noi sondiamo la parte più intima della nostra personalità. Lo specchiarsi nei disagi degli altri ci aiuta a fare emergere le nostre comuni fragilità. In fin dei conti noi oggetti aspiriamo a un qualche valore aggiunto”, o no? Sta di fatto che “gli oggetti in terapia ripongono piena fiducia nel dottor Pendolo, perché egli li mette a proprio agio”. Ma, ci interroghiamo, da dove deriva la sua autorevolezza, la straordinaria qualificata riconosciuta sua competenza? E la risposta è: dai suoi proprietari, che egli ricorda con gratitudine. È da ciascuno di loro che “ha assorbito gli studi di psichiatria e di psicoterapia”. E ha così compreso che il suo ufficio “è quello di farli riflettere”. Fare riflettere gli oggetti per indurre (in forza di transitività) gli umani a loro volta a riflettere, perché assevera egli: “Siamo in balìa degli umani e dobbiamo impegnarci al fine di trovare il modo per non essere accantonati, smantellati, distrutti”.
Siamo in balìa degli umani, non vi pare che ricalchi pari pari lo status degli uomini al tempo del mito, in balìa a loro volta questi ultimi del capriccio degli dei dell’Olimpo? “La conoscenza del nostro mondo – il dottor Orologio a Pendolo ne è confidente – potrebbe portare gli umani a immedesimarsi in noi oggetti. Altrimenti – prosegue – potremmo fare come gli umani, prendere il coraggio con le mani; puntare i piedi insomma”.
“Chi può vantarsi senza difetti? Esaminando i suoi ciascun impara a perdonar gli altrui”. Questa citazione da Metastasio, pure riprodotta sul libro, è la prima di tante.
Oggetti in terapia. Chi possiede chi consta di un prologo e ventidue capitoli e ognuno dei capitoli è preceduto, introdotto, a mo’ di chiave di lettura, di finestra che vi si spalanca, da un aforisma, una citazione, un pensiero. Selezionati ad hoc nel tempo uno per uno, assommano essi l’essenza dei vizi, delle virtù e degli argomenti ivi passati in rassegna: le coincidenze, il disagio, il valore, l’empatia, l’educazione, la solitudine, la pigrizia, l’invidia, il bullismo, la follia, fra essi. Sarebbe cosa improba scegliere fra L. Sciascia, Bacone, Lemannais, B. Pascal, Focilide, Molière, G. Flaubert, A. Schopenhauer, O. Wilde, T. Carlyle, G. Leopardi, La Rochefoucauld, I. Kant, P. Siro, A. von Platen Lebensregeln, F. Schiller, F. W. Schelling, Plauto, P. Flores d’Arcais, F. Kafka, E. De Luca e allora ne proponiamo qui solo uno, da Kafka appunto, che precipuamente si attaglia al nostro caso: “Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno in testa, a che serve leggerlo?”.
Coordinata da Pendolo, la “seduta si svolgerà [ovviamente, viene da dire] in senso orario”. Ciascuno dei pazienti per il proprio intervento disporrà di un lasso di tempo disciplinato da “una serie di rintocchi che andranno da uno a dodici” e che, mercé l’abile regia schierata dalla Nostra, “arrivano sempre sul più bello”. Al rintocco – questa è la regola e vale per tutti – ci si dovrà interrompere e lasciare la parola a chi è alla propria sinistra.
Il concetto di tempo assume, fra le colonne di questo tempio rutilante di surrealtà, di magia e di gioco, molteplici sfaccettature: quella del tempo cronologico dei termini minuziosi e ossessivi cadenzato dall’editore Raimondi; quella del tempo atmosferico dell’incipit del primo capitolo e che dovrà essere conditio sine qua non di ogni setting terapeutico; quella del tempo implacabile dei rintocchi accordato a ogni oggetto per il proprio intervento… e da non tralasciare, per la riflessione che ne può discendere, la perspicace comparata notazione di Pendolo: “Il tempo passa democraticamente per tutti quanti gli umani ma non per noi oggetti. Solo il logorio scandisce il nostro tempo e nella maggiore parte dei casi sopravviviamo ai nostri proprietari”.
Ci siamo! Si fanno avanti i primi componenti del gruppo: signor Cerchietto per Capelli, signora Sedia in stile Luigi XVI, signora Lavagna e una delle due signorine Scarpe dal tacco altissimo. Ognuno di loro, come pure ognuno dei restanti altri componenti del gruppo, ha un vissuto assolutamente singolare, paradigmatico, intrigante da proclamare e condividere, e a taluni di quei trascorsi, mediante le parole degli stessi protagonisti, le dirette loro testimonianze, per emblematici stralci ci sarà dato di accedere. Al momento tuttavia la nostra attenzione viene calamitata da altro.
Gli oggetti, tutti gli oggetti, quelli appena sopra menzionati e altresì ogni altro che lì si avvicenderà, sono appellati con le iniziali maiuscole, come fossero quelli, anzi no, perché configurano quelli i loro nomi propri e da tali vanno scritti con le iniziali maiuscole; inoltre, tutti loro indistintamente sono signore o signorine e signori. Con tale inusitato riguardo, l’autrice palesa con risolutezza l’intento di conferire identità, personalità, dignità, ai “suoi” oggetti. Ma… prestiamo loro orecchio!
“Di un bel giallo senape” la signorina Scarpa Gioiello Destra è, assieme con la sorella, ai “piedi di una spilungona che, ogniqualvolta ci indossa, perde l’equilibrio, inciampa e puntualmente le si torce il piede che io calzo. Avete una vaga idea di quante volte io sia stata riparata dal calzolaio? E quella lì, mia sorella, se ne sta a gongolare”. “La preferita della giovane proprietaria”, la signorina Scarpa Gioiello Sinistra irrompe precisando che non di colore “giallo, ma dorate siamo!”
“Dorate siamo!”; “Una ricerca su Google ci voleva”; “Ormai grande sei!”, l’autrice non dissimula affatto anzi (orgogliosamente quasi) dà risalto alla sua sintassi siciliana, che fra le peculiarità annovera la dislocazione del verbo alla fine della frase.
Sono sopraggiunti nel frattanto il signor Registratore di Cassa e la signora Automobile, ma da dietro di loro sbuca trafelato il signor Carillon: “Forse io rappresento il valore aggiunto di cui parla lei, dottor Pendolo. Al mio proprietario ricordo il suo passato felice: ogniqualvolta ha nostalgia della moglie morta mi dà la carica e, con le lacrime agli occhi, sogna i bei momenti che hanno vissuto insieme. Sono stanco però di ascoltare le note di Canon del musicista Pachelbel!”
Il signor Divano del Soggiorno (già nel nome tutta la solennità di un casato nobiliare!), rispetto al momento dell’arrivo in quella che sarebbe divenuta la sua casa, nel quale era “pulito ed elegante, con imbottiture alte e soffici e tappezzeria di un brillante color avorio”, lamenta di ritrovarsi ora “ingrigito, appiattito e zeppo di macchie”. Non sopporta più, inoltre, la “scatola nera che chiamano televisore… sempre accesa e buona solo per trasmettere soap opera e talk show”.
“Come vorrei stare a casa sua!”, si duole di rimando il signor Televisore, il cui stato è decisamente agli antipodi. “Io, purtroppo, sono inutilizzato. Non mi fanno fare il mio dovere. Sto perennemente spento”.
Lo si deduce dalla cifra anagrafica che viene da lontano, il signor Tappeto Persiano “alza la frangia e inizia a singhiozzare polvere”: “Sono continuamente calpestato. Mi sento proprio a terra e non posso respirare all’aria aperta perché non mi ci mettono mai”.
Il signor Frigorifero è quello che, senza tema di smentita, si può denominare un energumeno. “Il mio problema? Non ho mai pace! Il mio sportello viene aperto in continuazione. Sembra che le persone con cui abito non sappiano fare altro. Mi aprono e mi chiudono milioni di volte al giorno e perfino la notte. Dentro di me c’è tanto di quel cibo che mi sembra di scoppiare, ma la cosa strana è che non sono mai sazio”.
La chiusa dell’intervento del signor Frigorifero è degna del colmo del più arguto degli umoristi! E ce ne mette tanto di umorismo Giovanna Fileccia nella sua scrittura e, mentre pure scrive parole amare, crude, accorate, riesce comunque a essere amabilmente brillante.
Orologio a Pendolo dà festosamente il benvenuto al signor Specchio: “Si posizioni, per favore, al centro del cerchio in modo che i miei pazienti possano riflettersi sulla sua superficie”. Erroneamente, però, avendolo scambiato per “l’operatore sanitario in funzione di specchio inviato dall’Ospedale degli Oggetti” che stava attendendo, mentre invece anch’egli era uno dei pazienti. “Io sì – attacca costui – che ho il diritto di lamentarmi! Mi tocca stare chiuso dentro una specie di sgabuzzino, obbligato a guardare sempre lo stesso squallido quadretto. Dovreste vederle le facce che sfilano e poi si fermano davanti a me! Tutti mi guardano ma, ahimè, nessuno mi vede. Mi pesa la solitudine”.
“Parli così perché non hai idea di cosa voglia dire essere posti al centro di un salone!”, oppone stizzita la signora Scala a Chiocciola. “Sto in una casa signorile sempre piena di gente al centro di un salone che notte e giorno è una perenne confusione”.
La signora Automobile procede a chilometri zero. È nulla più di una utilitaria ma sotto la sua scocca batte un cuore da berlina: “Il mio proprietario è un tipo odioso; preme sul mio acceleratore tanto forte che rischio le convulsioni. La mia proprietaria, donna elegante e fine, quando a un incrocio le tagliano la strada fa volare parolacce e fa certi gestacci che non sto qui a rifare. Capirete la mia vergogna”. Lei registriamo, la signora Automobile, ha per contro “un animo gentile; si commuove e per asciugare le lacrime aziona i tergicristalli”; le sue tracce sono sensibilmente ecologiste: “Non inquinate l’ambiente” ognora ripete.
L’ingresso del signor Cerchietto per Capelli Lunghi non è di quelli che suol definirsi trionfale: “Vedete come sono consumate le mie estremità? Le mangiucchia la ragazzina che mi porta in testa mentre si concentra per studiare. Sì, lo ammetto, sono tremendamente scontento. Non potete capire quanto mi senta insignificante”. In effetti “quelle punte all’ingiù gli danno un’aria afflitta e sconsolata”. Si capovolga, gli viene suggerito: “Acquisirebbe la forma di uno smagliante sorriso”.
Un pezzo di storia, già alla corte reale francese, la signora Sedia in stile Luigi XVI prende la parola: “Sul mio dignitoso e prezioso sedile ho accolto personalità illustrissime: da Blaise Pascal a Molière, dal Voltaire a Carlo Goldoni, per non parlare di Alessandro Volta e del compositore Giuseppe Verdi. Nessun problema psicologico ma da parecchi anni soffro di varici”.
Spezzata nel senso letterale della parola, traforata da ironia per l’intero girovita, addentellata di richiami alla terminologia in auge, la signora Cintura di Cuoio proferisce parola con piglio deciso: “Sono lunga un metro e settantatré esclusa la fibbia. Sono la Cintura che tiene alti i pantaloni di un diversamente magro. Stamattina si è pesato, si è guardato allo specchio e si è visto realmente per quello che è: un uomo obeso, una mongolfiera. Ha rilassato il corpo, la pancia si è espansa e io… mi sono spezzata”.
Vecchia signora, da sempre a scuola in aiuto alle maestre, “la fronte una linea ferroviaria di rughe profonde”, attualmente la signora Lavagna si trova in una classe di quinta elementare: “Tra i pochi bambini a cui piace studiare ce n’è uno, Matteo, che viene preso costantemente di mira e lui sempre a frignare, a piagnucolare. Sono qui – seguita glissando sulle varie interruzioni subite – perché vorrei capire meglio i ragazzini di oggi. Gli umani non sono tutti uguali e i bambini sono il terreno fertile sul quale piantare i semi per un futuro migliore”.
La signora Lavagna arde sia di lucidità che di saggezza e non lesina di offrirci il destro per un paio di spunti di riflessione: 1. come avviene per gli umani, parimenti gli oggetti si intralciano, si interrompono gli uni gli altri, si accavallano nel loro conversare. Peraltro, come rileva Pendolo rivolto a Televisore: “la prossima volta cerchi di arrivare puntuale”, persino gli oggetti sono adusi al canonico ritardo di prassi presso gli umani; 2. la fiducia nei giovani nonostante gli imperversanti atti di bullismo. Risvolto, questo, non scevro di contraddizioni: d’un canto, parecchie volte in queste pagine, i bambini e i ragazzi sono fra coloro che fruiscono degli oggetti: il divano, il frigorifero, il cerchietto… e, alla pari degli adulti, sono per nulla prodighi di rispetto nei loro confronti ovvero – si veda quanto al caso di Matteo – mostrano nientemeno il loro profilo peggiore nell’agire da deprecabili bulli; d’altro canto nei giovani, nelle generazioni a venire, occorre pure che l’umanità abbia fiducia, riponga speranza.
La sua compagna lo ha abbandonato e lui, il signor Carrozzino, è “totalmente accasciato sul pavimento, disperato”. “Mi ero illuso che il nostro stare assieme fosse per sempre. Ero il compagno di una Honda Goldwind Sidecar. Stavamo insieme dal 1978, sempre uniti, pronti a scarrozzare i nostri proprietari. Ora si sono lasciati e a causa loro la mia compagna mi ha scaricato. Capite la tragedia che mi è piombata addosso? Oggi, lo stesso umano che mi aveva acquistato tantissimi anni fa, ha preso il giravite e mi ha smontato”.
Come ci si sente dopo la separazione dall’amata? Come un Carrozzino sbullonato dalla sua Moto; ecco come! La fantasia (si ribadisce) non difetta alla Nostra!
Non siamo che “appendici degli umani!”, prorompe contrariata Scarpa Gioiello Sinistra. “Loro ci progettano, decidono le nostre forme e funzioni, i nostri materiali e colori. Ci usano nelle strade, nelle case, nelle scuole, negli uffici. Risolviamo i loro problemi e siamo alla loro mercé”.
“Non sono d’accordo. Io non vorrei essere altro che quello che sono: un Telefonino di ultimissima generazione”, sbotta appunto il signor Telefonino. “Non fatevi ingannare dalle mie dimensioni perché io ho mille funzionalità. Mi piaccio per come sono e anche se sono il più piccolo fra tutti gli oggetti presenti ho più memoria io di tutti voi messi assieme”. E tuttavia, non lo nasconde, “soffre di solletico” a motivo del “continuo sfiorare” delle dita del suo proprietario.
È finita! La terapia di gruppo è finita. Penna a Sfera è stanchissima: “Ho riempito un considerevole mucchio di fogli, il mio inchiostro è quasi esaurito. Chiederò un aumento di grado; me lo sono proprio meritato”. Ogni capitolo infatti sembrava finire per poi invece sistematicamente riprendere, mediante un’accorta intuizione scrittoria che conferisce sinuosità alla narrazione e ne suggella la continuità e l’unitarietà, all’inizio del successivo e chiudere.
È (utile tentare di stabilire se è) stata fatta o meno una scelta degli oggetti in ordine alla narrazione? Siamo certi di sì nel disegno dell’autrice, ma più agevole è per noi figurarcene talune geometrie siano esse piane siano esse solide: dal rettangolo di Tappeto alla semicirconferenza di Cerchietto, dal parallelepipedo di Frigorifero alla spirale di Scala a Chiocciola; talune voci: quella in corsivo di Penna, quella simil “paradisiaca musichetta” di Carillon, quella “display accecante sussurrata” di Telefonino; talune ripercussioni somatiche: le varici di Sedia, la rottura di Cintura, l’olio-pianto di Carrozzino; nonché rispondere alla domanda: quali ne sono stati (alcuni de)i temi: il riciclo in antitesi al consumismo usa e getta; l’importanza della cooperazione; la capacità e la necessità del cambiamento ove necessario; la cura delle cose e delle persone ovverosia il rispetto; la difformità di situazioni e la divergenza di opinioni; i rilievi circa il convulso stile alimentare; la relazione fra insegnanti e alunni e fra genitori e figli, eccetera.
Gli oggetti sono irrimediabilmente coerenti e nella loro crudezza sono stati spietati nel denunciare, attraverso se stessi, i limiti, i difetti, i vizi degli umani, l’uso e l’abuso che da parte di costoro se ne fa. Nessuno di loro contento di quello che è, tanto che per l’esasperazione generatasi sono stati costretti a ricorrere alla terapia, di ognuno l’autrice schizza la reale essenza: Cerchietto, timido e invidioso; Cintura, d’una ironia mai spezzata; Specchio, solitario campione dai miserandi riflessi; Scala, in preda al turbinio sbadato del viavai di gente, eccetera… per finire (si fa per dire) con Telefonino, cui spetterà di rivestire l’ingrato ruolo del “Giuda di turno”. Né, peraltro, lei omette di soffermarsi sugli oggetti binomi: le accoppiate Carrozzino e Moto e Scarpa Gioiello Destra e Scarpa Gioiello Sinistra… impegnati loro su un doppio fronte: quello interno, la conflittualità insita nella coppia, e quello esterno, le grane fra la coppia e la proprietà.
Il carismatico dottor Orologio a Pendolo si è fatto carico dell’ascolto di tutti; l’ascolto, l’interazione, l’empatia come metodo empirico per aiutarsi reciprocamente. E, giusto nei panni di Pendolo, l’autrice saprà aprirsi senza preconcetti “a visioni e a scenari inediti”, avrà l’acume, la tenacia, la carità di immedesimarsi nell’altro, passerà il Rubicone, abbraccerà, diverrà l’oggetto e l’opera assumerà le fattezze di una vera e propria inclusione, retribuzione, celebrazione degli oggetti.
A consuntivo, esortato “ognuno ad accettarsi per quello che è”, assodato che “a nessuno è concesso di potere cambiare posto né casa, né ricoprire un ruolo diverso da quello che si ha”, statuito che la coppia “deve imparare a tollerarsi cercando di andare d’accordo, anziché rimbeccarsi a vicenda”, a lui, Pendolo, è spettata l’ardua sentenza: i disagi e i grattacapi constano e scaturiscono “dalla depressione, dalla solitudine, dalla paura, dalla insoddisfazione, dalla rabbia”, nonché “dalla mancanza del rispetto e del riconoscimento del valore degli oggetti da parte degli umani”.
Che la terapia non sia stata vana, che qualche risultato sia stato raggiunto spicca comunque fra le voci attive di un potenziale bilancio. L’autrice, difatti, è riuscita a escogitare per taluni degli oggetti tirati in ballo una sorta di corrispondenze tali da assurgere a indovinati e simmetrici contrappassi danteschi: “Scala a Chiocciola ha ottenuto il silenzio; Tappeto Persiano ha iniziato ad accartocciarsi; Divano del Soggiorno è stato trasferito; Carrozzino Sidecar… l’uomo gli ha aggiunto le ruote sul fianco sinistro; Cerchietto per Capelli ogni volta arriva con un look diverso; Sedia Luigi XVI è stata spostata; Televisore ha trovato uno stratagemma; Lavagna è al settimo cielo: i bambini non scarabocchiano i banchi, tengono le sedie pulite e gli armadietti in ordine”.
Quanto a Carillon “il suo proprietario giornalmente lo nobilita rievocando, attraverso la melodia che sprigiona, il ricordo della moglie morta”. E ciò perché di solito il fine di un oggetto che viene regalato non è unicamente quello del mero utilizzo quanto piuttosto quello di adempiere la funzione di tramite simbiotico, quello di ricordare al destinatario la persona che glielo ha donato, restituirne l’affetto, renderne costante la presenza. Ecco perché un oggetto finisce per essere molto caro quando chi lo ha donato non c’è più o per contro diventa assai faticoso da conservare quando costui non è più gradito o amato dal destinatario.
Il bilancio nondimeno non è immune da talune partite passive: “Frigorifero è tuttora depresso e triste; Automobile è sempre nervosa; Cintura di Cuoio aspetta ancora che il diversamente magro dimagrisca; Specchio soffre sempre di solitudine”. Fuori bilancio Lavagna riscontra che grazie “all’irriverente spiattellamento” la situazione si è ribaltata a loro favore e Penna che gli umani stanno “utilizzando il reimpiego e il riciclo, dando ai loro oggetti una nuova vita”, il dovuto riguardo.
Riguardo verso gli oggetti che si concreta, dunque, anche sotto la forma del riutilizzo, del reimpiego, del riciclo. È questa la morale, la filosofia, il “pensiero nascosto fra le righe del libro” che l’autrice ci gira sotto le mentite spoglie del dottore Fieravalli? In più circostanze, difatti, lei accenna a queste buone pratiche, una volta di normale amministrazione, il cui primario provvidenziale effetto era il beneficio, l’incalcolabile vantaggio per la casa che tutti ci ospita; dacché gli oggetti consistevano perlopiù di materiali naturali, la quantità che se ne produceva era sostenibile dal pianeta e l’ambiente non soffriva allorquando per l’usura occorreva disfarsene. Al contrario, tanti e troppi divenuti al giorno d’oggi i materiali poco o per nulla biodegradabili, affatto idonei a essere reimmessi nel ciclo di lavorazione, è ormai indifferibile l’auspicio di contenere gli sprechi e di scongiurare l’esiziale inquinamento ambientale al quale nostro malgrado assistiamo e contribuiamo.
Teniamo fra le mani, stiamo leggendo, proviamo a commentare un libro! Un libro edito, “nato” nel novembre 2019; un volume che prima di quella data non c’era e che ora esiste, vive, pulsa attraverso le vicende, gli oggetti, le scenografie, i personaggi che fra le sue righe, le sue pagine, i suoi capitoli si ergono, si muovono, agiscono. Nel clima nel quale siamo stati finora immersi, ci mancherebbe adesso che, alla stregua degli oggetti che custodisce, esso stesso, il libro, da oggetto di cultura quale per antonomasia è, ambisse financo lui ad animarsi, agognasse ad acquisire coscienza, vagheggiasse di “avere cervello” e, magari, prendesse a parlare in prima persona, a tu per tu con il lettore, con i lettori, con voi, con noi, pretendesse di esporre il proprio “punto di vista” dato che “le cose sono diverse, cambiate, progredite”; e, perché no?, iniziasse a grondare proporzioni matematiche, a rifilarci chissà quali buoni consigli e, a coronamento di tutto, anelasse nientemeno anche esso a divenire soggetto… il signor Libro. Ve lo figurate?! Dove andremmo a parare di questo passo?!
Pregevole di suo, tagliato per leggersi tutto d’un fiato, consigliabilissimo, nella struttura il libro rimanda un po’ al Decamerone di Boccaccio, alle sue giornate, quantunque con un paio di differenziazioni non da poco: lì, ci si rifugiava, si ricorreva alla auto-reclusione per sfuggire alla peste; qui viceversa è l’urgenza di evasione da una infausta condizione di ordinarietà a dettare la clausura; lì, una decina di persone, fra uomini e donne; qui una ventina di oggetti. Non, pertanto, un canovaccio frammentato, una successione squinternata, una spezzettatura nel tessuto narrativo, bensì le maglie di una collana, le tessere di un mosaico, le fette screziate di un sostanziale unitario diagramma.
Cosa succederà dopo, nell’ultimo terzo del libro? Perché il contesto delineato fino a quel momento sembra essere lì lì per esplodere, per precipitare; una levata di scudi pare in procinto di dispiegarsi. Si scatenerà una sorta di Guerra dei mondi alla Herbert George Wells fra i due blocchi o cosa?
Né favola né fiaba, né giallo né noir, né thriller né fantascienza, né cronaca né biografia…! Come potremmo catalogare una magnetica narrazione nella quale i protagonisti sono gli oggetti? Nell’ambito del genere letterario romanzo, a quale categoria e a quale sezione potremmo attribuire quest’opera o a quali la potremmo assimilare? Scritta e indirizzata agli adulti ma altresì adattissima ai più giovani, vi gravitano la storia, l’amore, l’avventura, l’introspezione, la coscienza, il costume, il comico… ma in modo strambo (insolito, strano, singolare, estroso, imprevedibile, stravagante). Viene da dire che in essa vi siano disseminati spicchi di ciascheduno di tutti quei tipi per cui è problematico riporla in una specifica mensola, in uno scaffale precostituito. Quali esperienze? Quali letture? Quali autori? Beckett, Orwell, Pirandello? Gli oggetti abitano libri, cartoons, balletti: Alice nel paese delle meraviglie, Pinocchio, Fahrenheit 451, Il ritratto di Dorian Gray, La Bella e la Bestia, Toy story, Lo schiaccianoci, Coppelia… ma, oppone la Nostra, nessuna suggestione proviene da queste direzioni.
Ottimo italiano, scrittura priva di orpelli, di paludamenti, di ridondanze (pure entro una cornice rigorosa di linguaggio appropriato, efficace, ricco di colorature, di sfumature consone a ciascuno degli oggetti), maturata verosimilmente per strati successivi e nel corso di molti mesi se non addirittura anni, “scrivere Oggetti in terapia mi ha divertito”, l’autrice disdegna la ricercatezza e punta deliberatamente sulla scorrevolezza, sulla concretezza. Non così gli oggetti, Pendolo e Penna primi inter pares, che ci elargiscono delle pregevolezze lessicali: Pendolo: “Divano non ha ancora finito di sprimacciare il suo disagio”. Sprimacciare, scuotere e battere energicamente con le palme delle mani un guanciale, un cuscino o altri oggetti imbottiti di piume o di lana affinché l’imbottitura si distribuisca uniformemente; Pendolo: “Preparerò una miscela che oltre a benzina conterrà polisaccaridi, flavonoidi, saponine, aminoacidi: tutti principi attivi della pianta astragalo”. Astragalo, dal latino astragalus, genere di piante appartenenti alla famiglia delle leguminose, diffuso nelle regioni temperate dell’emisfero nord; Penna: “Si sente un clangore assordante”. Clangore, dal latino clangor, strepito, rumore, forte suono.
Dribblati i rimandi all’attualità: alle “ore 21.33 inizio Montalbano”, Occidentali’s Karma e Gabbani, “Abbiamo deciso di avviare un blog”, un paio di residue conclusive notazioni: 1. fra le date afferenti ai due cruciali incontri sopra riportati: il giovedì 27 febbraio ore 9.43 e il lunedì 1° dicembre ore 18.43 (giorno, mese, ora, minuti, sempre indicati con estrema precisione), “sono trascorsi esattamente nove mesi, un giorno, nove ore e zero minuti”, grosso modo il tempo di una gestazione umana; 2. “Questo libro diventerà un bellissimo film!” Farne un film?! E perché no? Con le competenze e le tecnologie odierne si può realizzare di tutto, si può magnificamente adattare un copione “un po’ strambo” quale Oggetti in terapia. Chi possiede chi; la sceneggiatura, d’altronde, c’è già tutta.
In alternativa trarne una pièce a mo’ del teatro dell’assurdo: La doppia vita di noi oggetti.
MARCO SCALABRINO
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